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Monitoraggio delle condizioni attuali e dei cambiamenti in corso delle condizioni meteo-climatiche, di composizione dell'atmosfera, delle risorse idriche, degli ecosistemi e della biodiversità nelle aree montane italiane

Le attività di monitoraggio sono state dedicate alla caratterizzazione dello stato presente del sistema climatico e dell'ambiente in regioni montane. Nel seguito è riportata una selezione dei principali risultati scientifici ottenuti nell’ambito di Nextdata. 

Dati meteo-climatici

(a) quantificazione della variabilità della composizione dell’atmosfera (composti inquinanti e clima-alteranti), in regioni montane italiane. L’attività è condotta presso l’Osservatorio climatico di Monte Cimone (CMN), unica “Stazione Globale” GAW-WMO in Italia e presso la rete di stazioni di fondo sul territorio nazionale

Le osservazioni delle sostanze causa della deplezione dell’O3 stratosferico (i.e. CFC, HCFCs, halons, CH3CCl3, CCl4, CH3Cl, CH3Br), quantificate a CMN sin dai primi anni 2000, confermano il successo del Protocollo di Montreal ma allo stesso tempo hanno indicato la persistenza di emissioni non rilevate dalle regioni europee (specialmente per CH3CCl3, CCl4, CH3Cl, CH3Br). I gas serra non CO2 (HFC, CH4 e N2O) inclusi nel Protocollo di Kyoto mostrano tendenze crescenti significative, mentre si osservano tendenze al ribasso per i composti atmosferici regolati dalle direttive europee sulla qualità dell'aria. In particolare, nel periodo 1996-2016, è stato calcolato un andamento negativo (significativo al livello di confidenza del 99%) pari a  -0.21 ppb / anno per l'O3. La maggior diminuzione è stata rilevato per l'estate: ciò rifletterebbe la diminuzione delle emissioni di precursori di O3 in Europa e nell'Italia settentrionale, come anche confermato dalle osservazioni di composti organici volatili non metanici (NM-VOC). Per il periodo 2005-2013, abbiamo osservato una tendenza negativa statisticamente significativa di mg m-3 anno-1 per il black carbon  (eqBC), un aerosol prodotto dalla combustione incompleta di combustibili fossili e biomassa: sistemi di riscaldamento, industrie , traffico (in particolare motori "Diesel"), incendi agricoli e forestali. Entrambi i composti, O3 ed eqBC, oltre ad essere inquinanti atmosferici svolgono un ruolo importante come forzanti climatici a breve vita. 

La variabilità estiva degli inquinanti atmosferici e delle forzanti climatiche è stata studiata mediante osservazioni condotte a CMN. In particolare, abbiamo identificato tre regimi, funzione della distanza delle fonti di emissione antropogeniche: regionali (23% dei dati orari), continentali (38% dei dati) e di fondo (39% dei dati). I livelli di inquinanti più alti (ad esempio O3, CO, eqBC, particelli fini) sono dovute ad emissioni recenti dal nord Italia. Dall’integrazione di simulazioni si trasporto atmosferico e osservazioni continuative svolte a CMN (2011-2017), abbiamo stimato che le emissioni nazionali di propano (C3H8) e benzene (C6H6) ammontano, rispettivamente,  a circa 50 Gg/yr (di cui il 50% dalla pianura padana) e 22 Gg/yr (35% dalla pianura padana).

Osservazioni continuative in-situ di O3 sono state attivate a Col Margherita (MRG), nelle Dolomiti. Il primo anno di osservazioni ha fornito indicazioni sul trasporto di masse d'aria influenzate da emissioni antropogeniche. Oltre all'esistenza di un ciclo diurno legato ai venti termici montani, durante l'estate è stato messo in luce un significativo ciclo settimanale dell’O3. Ciò suggerirebbe il verificarsi, in condizioni meteorologiche favorevoli, di episodi di accumulo di O3 legato alle emissioni antropogeniche. Il tool Lagrangiano STEFLUX è stato sviluppato ed utilizzato per identificare eventi di trasporto di masse d’aria stratosferiche (SI) in quattro regioni montane della penisola italiana, dalle Alpi all'Appennino meridionale. Le osservazioni condotte presso i siti di Nextdata ed i risultati di STEFLUX concordano nel descrivere il ciclo stagionale della frequenza degli eventi di SI (massimi in inverno e minimi in estate). Usando STEFLUX, abbiamo messo in luce tendenze positive per la frequenza degli eventi di SI nel periodo 1979-2017. In contrasto con studi simili condotti nella regione alpina, la tendenza negativa a lungo termine dell’O3 nell'Appennino settentrionale non sembra essere correlata alla variabilità degli eventi di SI. Maggior dettagli possono essere reperiti nel deliverable D1.1.B

(b) implementazione della Rete integrata climatica di alta quota nelle regioni montane italiane, partendo dalle stazioni GAW nazionali.

Una delle finalità di Nextdata è stata l’integrazione di una rete di osservatori atmosferici in  aree montane e di fondo Italiane per lo studio della variabilità della composizione atmosferica e la raccolta di di dati ancillari (parametri meteorologici e radiazione solare). L'integrazione della rete osservativa atmosferica di fondo è passata attraverso le seguenti attività:

 • L'implementazione di nuovi programmi di misura nelle stazioni; 

• La definizione di linee guida per armonizzare le metodologie di misura, i protocolli, le procedure di controllo di qualità, compresa l'adozione di scale di taratura comuni (ad esempio GAW-WMO, ICOS, ACTRIS);

 • L'implementazione di procedure automatiche per l’elaborazione di variabili climatiche essenziali (ECV) registrate presso gli osservatori atmosferici e la loro sottomissione ai data center WMO / GAW (https://nextdata.bo.isac.cnr.it); 

• L'implementazione di servizi di data delivery in near-real time e di early warning. 

Maggiori dettagli possono essere trovati nei deliverable D1.1.A, D1.1.B e D.1.1.F. 

(c) stima del fenomeno di Elevation Dependent Warming nelle regioni montane italiane

Nella regione alpina, la relazione tra riscaldamento e quota è ben descritta da un modello lineare. La stagione in cui l’amplificazione del riscaldamento con la quota è più evidente, sia nella temperatura minima che in quella massima, è l'autunno. Infatti, i gradienti altitudinali di riscaldamento in questa stagione mostrano sempre una pendenza positiva e statisticamente significativa, tranne in pochissimi casi, e la dispersione tra le singole realizzazioni del modello (multi-member ensemble) che abbiamo analizzato per ciascuna risoluzione è io generale inferiore rispetto a quella presente nelle altre stagioni. 

In generale, la nostra analisi mostra che i driver più frequenti di EDW in tutte le stagioni sono i cambiamenti nell'albedo e nella radiazione a onda lunga verso la superficie, e questo si riflette sia nel riscaldamento diurno che notturno. E' interessante osservare che nelle Alpi, e solo alle risoluzioni orizzontali più grossolane, si osserva un segnale di EDW significativo legato alle variazioni di albedo in inverno. Alle risoluzioni più grossolane, l'orografia è rappresentata con alto grado di approssimazione e le altitudini più alte non sono realisticamente rappresentate nel modello climatico. Questo risultato sembra suggerire che le "quote più alte del modello" potrebbero subire una transizione anticipata (invernale) dall'essere coperti di neve all'essere liberi da neve in futuro. Naturalmente questo segnale è un artefatto tipico delle risoluzioni più grossolane e scompare infatti nelle simulazioni a risoluzioni più fini, che rappresentano l'orografia con maggiore precisione. Al contrario, le migliori risoluzioni sono le uniche in grado di cogliere nei cambiamenti dell’albedo la causa principale di EDW in autunno. Questo risultato suggerirebbe un valore aggiunto delle simulazioni a più alta risoluzione nell'area alpina.

Per maggiori dettagli, vedere il Deliverable D1.1.D “Future elevation-dependent warming on Italian mountains and related database".

(d) Ricostruzione della climatologia della temperatura e della precipitazione a risoluzione spaziale di 1 km per la regione alpina italiana; e realizzazione di data-set di serie temporali di temperature e precipitazioni mensili, alla medesima risoluzione spaziale, per gli ultimi decenni per le aree dei tre parchi nazionali di Gran Paradiso, Stelvio e Paneveggio/Pale di San Martino

Per ognuna delle tre aree è stata stimata una serie media areale per valutare la presenza di tendenze climatiche. Le serie delle temperature medie presentano un trend positivo sul periodo 1951-2012 paria 0.17°C per decade for Gran Paradiso, 0.24 °C per decade for Stelvio and 0.23 °C per decade for Paneveggio – Pale di San Martino. Tale trend risulta più forte se si considera il periodo più recente a partire dal 1981 (0.35 °C per decade for Gran Paradiso, 0.38 °C per decade for Stelvio and 0.40 °C per decade for Paneveggio – Pale di San Martino). Le precipitazioni, al contrario, non mostrano alcuna tendenza significativa. 

Risorse idriche 

Sono stati affrontati vari aspetti riguardanti il ​​ciclo dell'acqua e le risorse idriche in ambiente montano, tra cui la dinamica delle acque sotterranee e il monitoraggio delle variabili idrologiche e dei processi geomorfologici.

Acque sotterranee

Dati di monitoraggio sui quantitativi delle acque sotterranee e sulle caratteristiche fisico-chimiche di sistemi acquiferi strategici sono stati analizzati in aree montane e pedemontane dell'Appennino centrale e settentrionale (rispettivamente sistemi del Monte Amiata e delle Alpi Apuane) e delle Alpi (sistema pedemontano del Piemonte). In particolare sono stati presi in considerazione e confrontati i dati geologici, idrogeologici e idrodinamico-idraulici, così come la chimica e gli isotopi dell'acqua. Questo approccio integrato ha permesso di definire e/o aggiornare il modello concettuale dei sistemi acquiferi esaminati. Inoltre, sono stati sviluppati i modelli numerici di flusso e sull’evoluzione dei quantitativi della risorsa idrica sotterranea seguendo approcci diversi in base al modello concettuale e al comportamento idrodinamico dei sistemi. Le analisi statistiche eseguite su serie temporali di dati che coprono gli ultimi 15-30 anni hanno evidenziato alcune tendenze, sia per la quantità (livelli piezometrici, portata delle sorgenti) che per la qualità (concentrazione dei composti chimici) della risorsa. Una marcata sensibilità alle condizioni meteo-climatiche è stata particolarmente evidenziata dalla falda acquifera pedemontana nell'area alpina, in cui si è verificata una tendenza alla diminuzione dei livelli piezometrici in entrambi i periodi 2004-2008 e 2010-2017, associabile ai rispettivi andamenti di decrescita delle precipitazioni. La piovosità relativamente elevata che si è avuta nel 2009, e che si è interposta tra i due periodi relativamente secchi, ha determinato temporanei, ma decisi, aumenti dei livelli piezometrici e delle concentrazioni di alcuni composti chimici nelle acque sotterranee. Questi effetti sottolineano come gli estremi idrologici possano portare all'accumulo di sostanze nutrienti e salinità nella zona insatura dell’acquifero e ad un loro successivo rilascio concentrato nelle acque sotterranee. Anche i dati di portata delle principali sorgenti dell'Appennino settentrionale e centrale hanno evidenziato alcuni effetti idrodinamici che le falde acquifere stanno subendo in risposta a tendenze e variabilità dei regimi idrologici. In particolare, negli ultimi due decenni le sorgenti carsiche del sistema delle Alpi Apuane mostrano una debole tendenza alla diminuzione delle portate durante la stagione umida, nonché una maggiore frequenza dei picchi concentrati di portata e periodi con basse portate di più lunga durata. D'altra parte, il sistema vulcanico del Monte. L'Amiata, che è caratterizzato da cicli idrodinamici pluriennali, negli ultimi trent'anni di osservazione ha mostrato un cambiamento significativo nei cicli di portata a partire dal 2009. In particolare, la principale sorgente (550 L/s come portata media) di questo sistema presenta nel periodo successivo al 2009 cicli idrodinamici più brevi e valori massimi di portata più alti, come risposta a un numero più elevato di eventi piovosi. Metodologie e risultati sono discussi più in dettaglio nei rapporti D1.2A, B.

Idrologia

Con la realizzazione del "Database Idrologico Bacini Appenninici" (DIBA) si è raggiunto come obiettivo generale la realizzazione di un portale web di dati meteo-geo-idrologici (precipitazioni, temperatura, umidità del suolo e deflussi) di due bacini pilota dell'Appennino, della regione Umbria e interregionale Toscana-Liguria. Le serie idrologiche di lunga estensione temporale sono state acquisite, organizzate ed armonizzate con dati al suolo e osservazioni da satellite.  Un importante risultato del progetto è lo sviluppo di una procedura per il controllo di qualità, georeferenziazione e validazione del dato idrologico, finalizzata all’analisi del regime di deflusso nei bacini appenninici. In tale ambito, il progetto ha fornito criteri per la valutazione dell'adeguatezza della rete idrometeorologica esistente in termini di conoscenze, metodologie e funzioni operative, proponendo ipotesi di ottimizzazione della rete con nuovi sensori. Nelle due aree pilota sono state effettuate campagne di monitoraggio mensili dell'umidità del suolo su versanti, consentendo di raccogliere e analizzare i dati delle serie temporali dell'umidità del suolo e confrontarle con i corrispondenti prodotti satellitari (ad es. ASCAT e AMSRE). In tale contesto, è stata analizzata la variabilità spazio-temporale dell'umidità del suolo su base statistica e geo-statistica e dei principali fattori che ne influenzano il comportamento a diverse scale. Campagne di monitoraggio mensili hanno riguardato anche i deflussi fluviali, sviluppando una procedura per la stima della portata fluviale anche durante eventi estremi sulla base della sola misura della velocità superficiale della corrente e che ha consentito di individuare la relazione portata-livello idrico in siti non strumentati. In tale ambito, il progetto ha anche delineato delle linee guida per il rilevamento post-alluvione basato sulla valutazione della stima dei picchi di portata in più siti fluviali. Alcuni eventi alluvionali occorsi nei due bacini pilota sono stati utilizzati come casi di studio.  Per i due bacini, è stata analizzata la variabilità climatica delle grandezze idrologiche “essenziali” (precipitazioni e temperatura) insieme all'umidità del suolo e identificati i trend per possibili scenari meteo-idrologici attesi nei prossimi decenni, anche in termini di deflusso. Per questo ultimo, per le due aree pilota è stato implementato il “Modello Idrologico Semi-Distribuito in continuo”, MISDc, sviluppato dal gruppo di idrologia del CNR-IRPI. In particolare, sono state acquisite e “downscalate” le serie temporali di temperatura e precipitazione di nove modelli RCM EURO-CORDEX, selezionate per due periodi diversi: baseline (1981-2005) e futuro (2070-2099). È stata quindi esaminata la variazione climatica per i due bacini pilota in termini di precipitazioni, temperatura, umidità del suolo e deflussi. In particolare, lo scenario futuro ha mostrato una diminuzione media delle precipitazioni annue abbinata a un significativo aumento della temperatura. Lo scenario di temperatura e precipitazione è stato quindi utilizzato per inizializzare MISDc che ha previsto per il 2080 un aumento medio della portata di picco di circa il 40% per i due bacini pilota. Tutte le serie climatiche sono rese disponibili in DIBA.

Processi geomorfologici

Attraverso l'analisi dei movimenti della superficie terrestre è possibile capire l'evoluzione geomorfologica di frane singole o multiple. Nell'ambito del progetto sono state raccolte misure derivate da tecniche di monitoraggio in-situ, tra cui Stazioni Totali, ricevitori GPS, estensimetri, e inclinometri installati in siti di frana situati in Italia tra questi: Gardiola (Valle Germanasca, Piemonte, Italia settentrionale), Grange Orgiera (Valle Varaita, Piemonte, Italia settentrionale), Montaldo di Cosola (Comune di Cabella Ligure, Piemonte, Italia settentrionale) e Ivancich (Comune di Assisi, Umbria, Italia centrale). Per la frana di Gardiola e la frana di Grange Orgiera le misure sono state fornite da una rete di monitoraggio permanente dal 2004, costituita da una rete topografica con una Stazione Totale Robotica (LEICA 2003 con Automatic Target Recognition ATR). Per le frane di Montaldo di Cosola e Ivancich sono state effettuate misure di deformazione del terreno mediante inclinometri. Per la frana di Ivancich sono state fornite tutte le misure disponibili delle serie temporali di deformazione e velocità del terreno, ottenute applicando la tecnica SBAS DinSAR su immagini SAR satellitari (ERS e ENVISAT dal 1992 al 2010, CosmoSky-MED 2009-2012). Inoltre nell’ambito del progetto, sono state generate nuove mappe di velocità media e serie temporali di deformazione del terreno sfruttando il servizio G-POD basato sull'elaborazione di immagini SAR. I dati disponibili di Envisat ASAR sono stati elaborati con la tecnica P-SBAS, sia in orbite ascendenti che discendenti. Il periodo di osservazione va da giugno 2004 e ottobre 2010 per l'orbita ascendente e da settembre 2004 e ottobre 2010 per l'orbita discendente. Il confronto con i dati meteorologici disponibili (altezza della neve, precipitazioni) ha consentito   di minimizzare gli effetti di decorrelazione temporale legati principalmente al manto nevoso, mantenendo il maggior numero di acquisizioni SAR. Per convalidare i risultati ottenuti, i target SBAS sono stati confrontati con i Permanent Scatters (PS) disponibili sul "Portale Cartografico Nazionale" (http://www.pcn.minambiente.it/mattm/). È stato osservato un buon accordo tra i target SBAS selezionati e i tassi di deformazione superficiale dei PSs, si è infatti osservata una distribuzione simile. Infine si è evidenziato che il numero di Rock Glaciers (RGs) coperti dai target SBAS sono 123 per l'orbita ascendente e 65 per l'orbita discendente. In generale, l'analisi delle mappe di velocità media evidenzia un buon accordo con lo stato di attività delle RGs inventariati nei ctaloghi nazionali. In particolare, le serie temporali forniscono l'analisi di eventuali attivazioni e/o deformazioni stagionali degli RG nel periodo osservato. Metodologie e risultati sono discussi più in dettaglio nel deliverable D1.2C.

Ecosistemi e biodiversità

Una parte rilevante del progetto NextData è stata dedicata alla misura e al monitoraggio degli ecosistemi e della biodiversità montana, per fornire un quadro complessivo di come i cambiamenti climatici e ambientali stanno influenzando la biosfera montana.

Parallelamente alle attività scientifiche, sono state condotte attività di disseminazione e divulgazione sul tema degli ambienti montani, che hanno incluso un video e una mostra fotografica sugli ecosistemi montani, ospitata presso il MUSE di Trento e presso il Museo di Storia Naturale dell'Università di Pisa alla Certosa di Calci e un ciclo di conferenze pubbliche sull'ambiente montano presso il Museo di Storia Naturale dell'Università di Pisa. 

Durante le attività di ricerca, sono state affrontate le seguenti tematiche scientifiche:

(h) recupero e messa a disposizione di dati sugli ecosistemi montani provenienti dai siti italiani che contribuiscono a ILTER (International Long-Term Ecological Research network) e a LTER-Europe; 

(i) misure e osservazioni quantitative della biodiversità in regioni d'alta quota in un insieme di parchi alpini, mediante raccolta di dati di biodiversità animale, di distribuzione di specie animali, di dinamica di popolazione di specie significative (keystone, flagship species); 

(l) stima quantitativa dei flussi biogeochimici (acqua, carbonio) fra suolo, vegetazione e atmosfera in un insieme di siti campione, per determinare la dinamica e il ruolo source/sink per il carbonio in alcuni tipi principali di ecosistemi alpini;  

(m) analisi della dinamica delle praterie alpine in condizioni di cambiamento climatico e di cambiamento nell'uso del territorio, in particolare, dei cambiamenti nella gestione del pascolo di ovini e bovini e nelle interazioni con gli ungulati selvatici, mediante misure in situ e osservazioni satellitari; 

Quest'area di attività ha portato alla costruzione di un sistema di archivi tematici distribuiti, da cui possono essere scaricati i dati e i risultati prodotti dal progetto (carte tematiche, elaborazioni, indici climatici, idrologici ed ecosistemici, prodotti delle simulazioni numeriche). Particolare attenzione sarà data alla validazione, controllo di qualità e armonizzazione dei dati, spesso provenienti da sorgenti diverse. 

I dati sono stati analizzati e interpretati al fine di ottenere un quadro il più completo possibile sullo stato e sui cambiamenti in corso nelle aree montane italiane, portando alla pubblicazione di svariati articoli scientifici e report tecnici.

La "Critical Zone" montana

La "Critical Zone" (CZ) è un ambiente eterogeneo sulla superficie terrestre dove i processi chimici, fisici, geologici e biologici interagiscono tra loro coinvolgendo tutte le matrici ambientali come la roccia, il suolo, l'acqua, l'aria e gli organismi viventi. La CZ, chiamata anche la "superficie vivente del pianeta", è la zona di transizione tra atmosfera, vegetazione e sottosuolo che si estende attraverso la pedosfera fino alla zona insatura e saturata e infine alla roccia "indisturbata". Nella Critical Zone i cicli dell'acqua, del carbonio e dell'energia sono strettamente collegati tra loro e determinano gli scambi di materia ed energia in tutta la biosfera terrestre, fornendo servizi ecosistemici essenziali come la regolazione dell'acqua e il sequestro del carbonio. Lo studio della CZ è una tematica di ricerca multidisciplinare in cui diverse comunità scientifiche analizzano una molteplicità di aspetti diversi (es. geochimica, geologia, idrologia, ecologia) per comprendere il funzionamento di questo sistema di supporto di tutta la vita terrestre. Tali studi si basano su misurazioni sul campo, effettuate in una rete di Osservatori di Critical Zone in tutto il mondo (www.czen.org), telerilevamento e modellazione numerica. In questo senso, la Critical Zone è un ottimo laboratorio per lo studio dei complessi processi che collegano la geosfera, la biosfera e il clima (www.to.isac.cnr.it/gpss).
 
I cambiamenti globali, compresi i cambiamenti climatici e di uso del territorio, l'erosione del suolo e l'inquinamento dell'acqua e dell'aria, influenzano la CZ in molti modi complessi e potenzialmente distruttivi. La perdita e il degrado del suolo, le modifiche dei cicli dell'acqua e del carbonio, la perdita di biodiversità e le perturbazioni dell'ecosistema hanno un impatto sulla CZ, portando potenzialmente ad una forte riduzione della sua capacità di fornire servizi ecosistemici. Nelle zone montane d'alta quota e nelle regioni polari, la Critical Zone è uno strato sottile ma essenziale tra il ghiaccio, il permafrost, la roccia e l'atmosfera, ed è particolarmente esposta ai pericoli associati ai cambiamenti ambientali e climatici.
 
Per studiare quantitativamente la dinamica della Critical Zone montana d'alta quota, nell'ambito del progetto NextData abbiamo istituito il primo osservatorio italiano di CZ, in tre siti specifici del Parco Nazionale del Gran Paradiso: l'area di alta quota (2600 metri s.l.m.) della Piana del Nivolet, il Vallone di Nel (2200 metri s.l.m.), soggetto a forte e rapida deglaciazione, e la Valle di Noaschetta, di bassa quota e ricca di vegetazione, soggetta a ricolonizzazione da parte di specie arboree. L'area del Nivolet, dove si è svolta la maggior parte delle attività, è coperta di neve da novembre a giugno, è caratterizzata da un complesso ambiente di pascoli alpini, laghi oligotrofici, torbiere, affioramenti rocciosi e torrenti, ed è l'habitat di stambecchi, camosci, aquile e marmotte. Gli ungulati domestici (bovini, ovini, caprini) sono presenti durante la breve estate montana. Il substrato geologico comprende aree con gneiss, carbonati, depositi glaciali e terreni alluvionali. Due stazioni meteorologiche nelle vicinanze forniscono registrazioni giornaliere della temperatura, delle precipitazioni e della copertura nevosa da oltre 50 anni. In quest'area, a partire dal 2016 abbiamo effettuato misurazioni dei flussi di carbonio tra suolo, vegetazione e atmosfera, utilizzando metodi con camere di accumulo portatili e stazioni fisse di "eddy covariance". Misure idrologiche e chimico-fisiche del suolo, misure meteo-climatiche, censimenti della vegetazione e stime della biodiversità completano l'attività di monitoraggio, insieme all'analisi delle osservazioni satellitari.
 
L'esperienza acquisita con l'Osservatorio di CZ al Gran Paradiso è ora in corso di applicazione ad altri siti montani in Italia e in Europa.